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sabato 24 ottobre 2009
Avanti il prossimo
Marrazzo tira coca e va a trans. Questo mi pare di aver capito dal poco che ho letto sui giornali. Embè? Qual è il problema? Saran fatti suoi. Qualcuno dice che se fosse vero dovrebbe dimettersi. E perché mai? Perché si tira la coca col trans... o viceversa?
In quanto politico mi basta che sia buon amministratore. Se gli serve la coca per rimanere lucido e fare bene il suo lavoro, ossia difendere gli interessi della collettività, mi può solo dispiacere per lui. Pare infatti che la coca, sul lungo termine, non sia proprio salutare per l'organismo e il conto in banca. Riguardo al trans invece, non mi risulta che ci siano particolari controindicazioni.
Allora, se di notte a Marrazzo piacciono trans e coca, la colpa di cui si macchierebbe, ciò per cui Noi lo riteniamo veramente immorale e condanniamo qui per empietà di fronte a Dio e agli uomini (scusate, mi faccio prender la mano!), è semmai per il viiile comportamento che esibisce di giorno: ossia quale buon marito eterosessuale rispettoso delle norme di Sacra Romana Chiesa.
Ecco, risultasse tutto vero, anche il buon Marrazzo sarebbe caduto nel più infame, subdolo e distruttivo di tutti i peccati, piuttosto diffuso peraltro: l'ipocrisia.
giovedì 22 ottobre 2009
Canapa mon amour!
Quasi metà degli americani favorevole alla legalizzazione della marijuana
Un sondaggio Gallup pubblicato questo ottobre rileva che il 44% degli americani è favorevole alla legalizzazione della marijuana e il 54% è contrario. Il sostegno alla legalizzazione della marijuana era rimasto fermo al 25% dalla fine degli anni 70 alla metà degli anni 90, per poi balzare al 31% nel 2000. Dopodiché non ha mai cessato di crescere, fino ad arrivare al record attuale.
Maggiormente favorevoli alla legalizzazione sono i cosiddetti “liberals”, con il 78%. Al contrario, il 72% dei conservatori si dichiara contrario. I moderati sono equamente divis, anche se prevalgono i contrari (51% contro 46%).
Il sondaggio ha anche svelato un conflitto generazionale: il 50% di coloro che hanno sotto i 50 anni e il 45% di coloro che hanno fra i 50 e i 64 anni sono favorevoli alla legalizzazione, percentuale che scende al 28% fra gli ultrasessantacinquenni.
Se il sostegno dovesse continuare a crescere a un tasso dall’1% al 2% l’anno, come nell’ultimo decennio, fra quattro anni la maggioranza degli americani potrebbe essere schierata a favore della legalizzazione.
Queste percentuali non cambiano neanche quando la domanda inquadra la legalizzazione come strumento per accrescere le entrate dei governi statali. Indipendentemente da come viene posta la domanda, il 53% degli americani che vive sulla costa orientale -che comprende la California, dove la questione potrebbe apparire sulla scheda elettorale nel 2010– sostiene la legalizzazione.
(FONTE: fuoriluogo.it)
venerdì 18 settembre 2009
L'oro talebano
Finalmente anche Saviano tira fuori un tema estremamente scomodo. Dove prendono i talebani tanti soldi per comprare armi, chili di tritolo e uomini disposti a usarli per far esplodere gli "indistruttibili" corrazzati italiani? QUI l'articolo.
mercoledì 17 giugno 2009
Vecchiaia bruciata
Sempre per quanto riguarda l'uso medico delle droghe -di certo non il mio favorito. All'entrare gli uomini nella terza e ultima parte della vita, Avicenna li invitava ad acquisire il saggio abito dell'oppio. Ideale per alleviare tutti quegli acciacchi di carattere fisico e piscologico che caratterizzano la vecchiaia e renderla cosí più serena e allegra. Infatti, per quanto riguarda la forte dipendenza che crea l'oppio, tale inconveniente viene a mancare potendone fare, a dire di Avicenna, un uso moderato e intelligente per l'arco di almeno vent'anni. Iniziare ai settanta è già abbastanza ottimistico.
Mia nonna teneva sotto la poltrona, dove passò seduta gli ultimi dieci anni della sua vita, un'intera farmacia. Fino alla sua morte all'età di 97 anni si prendeva diverse pastiglie al giorno, tutti i giorni, per almeno una ventina d'anni. Un po' di voltaren per le ginocchia, qualcos'altro per i problemi d'intestino, a giorni alterni una gocetta di valium per distendere i nervi. Occasionalmente mia zia (sua figlia) la premiava con un sonnifero, perché altrimenti mia nonna si passava la nottata a fissare il soffitto. Ma solo in rare occasioni, anche se lei lo richiedeva a gran voce, le concedeva mia zia il sonno degli dei, perché il medico aveva detto che i sonniferi danno dipendenza. "Che vuoi che me ne frega della dipendenza! Io voglio dormire.", protestava mia nonna. L'aveva capito pure lei.
Se andavi a guardare la posologia di tutto quel ben di dio che teneva sotto la poltrona, erano tutti praticamente derivati della morfina. Soltanto confezionati dalle case farmaceutiche e pagati dalla sanità pubblica. Per scherzare a volte le proponevo se sarebbe stata disposta a farsi una fumatina d'oppio e lei ne era entusiasta.
A me da anziano piacerebbe vivere in una casa in collina con un piccolo orto dove coltivare con cura pomodori, zucchine, marijuana e oppio. Poi rientrare in casa e accendere la mia connessione internet super-veloce alimentata dall'elettricità che estraggo da un buco che scende per chilometri sotto terra. Dopo aver gettato un ciocco di legno sul fuoco, chiamerei qualcuno dei miei nipoti sparsi per il mondo che apparirebbe sotto forma di ologramma al centro della stanza. E il tutto da sballato!
giovedì 4 giugno 2009
Antiproibizionismo unica soluzione
Narcotrafficando in Africa Occidentale
di Matteo Ballero
Ho studiato per un anno il narcotraffico in Africa Occidentale. In questo periodo ho potuto osservare come questa regione del mondo sia recentemente entrata nella mappa del finanziamento del crimine mondiale. E come questo abbia creato lì una struttura unica al mondo: il narcostato.
L’Africa è un anello fondamentale nella rete di finanziamento delle organizzazioni criminali internazionali. Le sue numerose risorse vengono sfruttate da organizzazioni criminali e fondamentaliste per raggiungere i propri obiettivi (ricordate lo scambio diamanti-armi organizzato dal RUF in Sierra Leone). Regina delle risorse commerciate illegalmente è la droga: il narcotraffico è la tecnica più efficace, più redditizia e più utilizzata a livello globale per finanziare atti di terrorismo, ribellioni e guerre.
Se la caduta del Muro di Berlino ha comportato l’arrivo della criminalità dell’est europeo in Africa, l’undici settembre ha coinvolto il continente in un cambiamento radicale delle rotte commerciali di finanziamento illegale. L’Africa Occidentale ha subìto questa rivoluzione.
La criminalità mondiale ha investito in Africa Occidentale dopo l’undici settembre, quando l’amministrazione Bush approvò il Patriot Act. Le misure di carattere finanziario, contenute nella legge federale, imposero serie limitazioni all’attività di riciclaggio. Le organizzazioni che commerciavano con gli Stati Uniti realizzarono immediatamente come l’emissione di misure antiterroristiche e l’irrigidimento dei controlli a livello bancario avrebbero comportato una riduzione della rendita economica. I narcotrafficanti decisero così di investire in Europa, terreno divenuto, con l’introduzione della moneta unica e la realizzazione del mercato comune, economicamente vantaggioso.
Inizialmente furono sfruttate le rotte commerciali illegali già costituite ed impiegate negli anni precedenti, attraverso Balcani e Canarie. Nel 2004 i narcotrafficanti decisero però di stabilire un porto sicuro di collegamento tra le organizzazioni sudamericane e quelle europee. Si decise di investire in Africa Occidentale. E la regione divenne l’hub della cocaina. Qui oggi arrivano gli aerei sudamericani stracarichi di droga e da qui ripartono le imbarcazioni e i velivoli diretti al mercato del consumo europeo. Il trasporto è rapido e sicuro.
In particolare oggi è la Guinea Bissau a soddisfare pienamente le necessità dei narcocommercianti. Ha un territorio geograficamente difficile da controllare, una classe politica in perenne stato di lotta, un esercito sovra numerato, influente e scarsamente pagato, una polizia e un sistema giudiziario inesistenti, come inesistenti sono gli accordi di estradizione, e un’economia tra le più povere e sottosviluppate al mondo. In Guinea Bissau l’assedio ha avuto immediato successo grazie all’aggressività dei narcotrafficanti, che possiedono mezzi economici sconfinati in grado di penetrare nella debole economia locale. La forza economica dei narcotrafficanti è stata evidente quando la polizia intercettò una carico di seicento chilogrammi di cocaina stipato nel bagagliaio di una macchina: la droga aveva un valore sul mercato pari a un terzo del PIL guineano.
Il passo successivo venne compiuto quando i narcotrafficanti decisero di trasferirsi fisicamente a Bissau. La Guinea Bissau è diventata in quel momento il primo autentico narcostato al mondo. In nessun’altro paese vi è un’infiltrazione e un’estensione del narcotraffico nel territorio nazionale come nella repubblica africana.
Il narcostato è una condizione statuale dovuta all’incapacità dell’amministrazione pubblica di contrastare lo stato guscio, che viene esteso dall’organizzazione criminale a tutto il territorio nazionale. La struttura socio-economica creata dall’organizzazione criminale, lo stato guscio, ha la funzione di proteggere il commercio di droghe. L’assoluta incapacità di contrasto e il coinvolgimento indiretto dell’amministrazione pubblica abbattono i costi di trasporto al minimo e rendono l’attività di narcotraffico attraverso la Guinea Bissau economicamente molto efficiente.
La situazione in Africa Occidentale è drammatica. L’instabilità istituzionale e la penetrazione della criminalità nell’economia locale stanno avendo delle conseguenze disastrose per lo sviluppo economico e sociale dell’area. La fragilità politica ha provocato l’arrivo del fondamentalismo islamico, che individua a Bissau come a Conakry un terreno fertile per l’ideologia estremista. La Somalia dimostra come il collasso dell’apparato governativo e l’indifferenza della comunità internazionale possano provocare conseguenze difficilmente risolvibili nel breve periodo.
(Fonte: lanapoleoni.ilcannocchiale.it)
Afghanistan, contro il demone dell'oppio non serve sparare a caso
di Fulvio Scaglione
Solo pochi giorni fa, i giornali americani annunciavano con soddisfazione una svolta nella strategia delle truppe Usa in Afghanistan: un attacco deciso alle piantagioni di papavero, che producono il 90% dell’oppio in circolazione nel mondo e rendono ai talebani (o chi per essi) più di 300 milioni di dollari l’anno. Nello sforzo Usa di raddoppiare le truppe dispiegate a Kabul e dintorni (dalle 36 mila attuali a 68 mila), proseguivano gli analisti, è “nascosto” il proposito di mandare 20 mila uomini in più nelle sole province di Helmand, Kandahar e Zabul, dove le piantagioni di papavero sono più fitte. Il fatturato del narcotraffico (foto sotto: un campo di papaveri da oppio) è oggi pari a circa il 60% del Prodotto interno lordo dell’Afghanistan, quindi è prevedibile che predoni e signori della guerra non si arrenderanno senza combattere. D’altra parte, ragionavano gli strateghi americani, i contadini pagano anche il “pizzo” per la protezione e quindi dovrebbero essere felici che qualcuno arrivi a liberarli.
Sarà quel che sarà. Ma intanto le truppe italiane ammazzano per sbaglio una bambina nell’auto del padre che non si ferma al posto di blocco. E gli americani, che fanno sempre le cose in grande, fanno fuori decine di donne e bambini (tra gli altri, un operatore della Croce Rossa con 13 parenti) nel solito bombardamento tirato come viene viene. Ho già scritto in passato su questo tema ma le cifre sono agghiaccianti: nel solo 2008, secondo i calcoli dell’Onu, esercito afgano, forze Nato e forze Usa hanno fatto fuori 828 civili. Dal 2001, secondo diverse fonti, le vittime civili delle “forze del bene” sarebbero tra 4.900 e 7.750, mentre quelle delle “forze del male” (talebani & c.) sarebbero tra 2.400 e 3.950.
A proposito di 2001. Io c’ero. Entrai in Afghanistan dal Tagikistan, riuscii a seguire la battaglia di Taloqan (a Nord; foto sotto, la mappa del Paese) e poi quasi più nulla. E sapete perché? L’avanzata verso Kabul dell’Alleanza del Nord, unita alle truppe americane e inglesi, era così rapida da lasciarsi appresso persino i giornalisti, che in fondo non avevano altro da fare che guardare e scrivere. In quei giorni non c’era afgano che non sfoggiasse una divisa nuova di zecca e una ricetrasmittente Motorola ancora avvolta nel cellophan. Una settimana prima la presa dei talebani sul Paese era ferrea, una settimana dopo non gli dava più retta nessuno. Come mai?
La risposta era evidente: i signori della guerra, adeguatamente “unti”, avevano girato le spalle all’islam e si erano messi con gli occidentali, lasciando i talebani in brache di tela. Per carità, niente di male. Anzi, bene. La stessa cosa è stata fatta, con ottimi risultati, anche in Iraq. Ma uno dei prezzi pagati a quel voltafaccia è stata, in Afghanistan, la libera coltivazione del papavero da oppio. Non a caso, negli ultimi anni del regime talebano si era quasi arrivati ad azzerare la produzione, che invece ha segnato record dopo record dalla liberazione del 2001 a oggi. Non a caso, si sono fatti mille discorsi sull’Afghanistan ma nessuno che riguardasse alture sostitutive da proporre ai contadini afghani, per di più tormentati da anni e anni di siccità.
E’ quello il demone originario che tormenta l’Afghanistan post-talibano. Quella l’equazione che non siamo mai riusciti a risolvere: perché il narcotraffico alimenta l’anarchia e mina alla radice qualunque idea di Stato unitario, mentre la lotta al narcotraffico rende labile l’alleanza con i capi tribù e i capi clan che governano, assai più del presidente Karzaj, le sorti del Paese. Barack Obama sembra deciso a fare sul serio, ed è sicuramente un bene. Anche lui, però, deve capire che sparare a casaccio è la cosa più facile e più dannosa che si possa fare.
(Fonte: fulvioscaglione.com)
giovedì 12 marzo 2009
Educazione alla dipendenza
A parte tutto ciò di cui sopra, la questione centrale è l'educazione. L'educazione alle droghe, ma più in generale a qualsiasi forma di dipendenza. Siamo dipendenti dal lavoro, siamo dipendenti da certi stati d'umore (rabbia, tristezza, rancore, ecc.), siamo dipendenti da certe persone (un amante, un genitore, il guru), e poi la dipendenza più diffusa di tutte: la dipendenza dall'approvazione degli altri. Ne abbiamo estremamente bisogno. Basta poco per metterci in crisi, siamo insicuri, temiamo di fare brutta figura. E non crediate che da un punto di vista fisiologico, la dipendenza dalla cocaina, sia del tutto diversa da quella dal lavoro. In entrambi i casi entrano in circolo delle sostanze affini; nel primo caso in forma esogena, nel secondo endogena. Ogni stato umorale consiste nella secrezione di una determinata sostanza (o miscela) nell'organismo. Il fenomeno dell'assuefazione, e la tolleranza alla sostanza stessa che ne deriva, è equivalente per quanto riguarda la dipendenza dalle droghe come nelle altre forme di dipendenza sopra citate. In ogni caso, bisogna aumentare la dose. Per produrre lo stesso sballo iniziale, la quantità di sostanza rilasciata deve essere sempre maggiore. Ma l'organismo ne risente, e soprattutto quando la dose viene a mancare. Non possiamo permetterci di rimanerne a corto. Ma l'iniezione che ci anestetizza l'anima, ci avvelena il corpo. Bisogna imparare a dosificare, allora. E soprattutto non essere dipendenti da nulla. Ottenere l'approvazione degli altri, per esempio, non è che sia un male in sé, è una bella cosa, un piacere del quale nessuno si può privare del tutto. Diventa terribile quando non sappiamo farne a meno, quando non possiamo più restarne senza. Tornando alle droghe in senso stretto, la dipendenza insorge quando non le usiamo più per divertirci, quando già non cerchiamo lo sballo di una notte, ma la cura del giorno. Non esistono le droghe, ci sono i drogati. La dipendenza non sta nella sostanza, sta nella persona. Nessuno nega che certe sostanze (siano droghe come stati d'animo) leniscano il dolore. In alcuni momenti sono addirittura consigliabili. Ma dobbiamo sapere cosa stiamo facendo. Assumere la responsabilità del costo psicofisico che infliggiamo al corpo. Aristotele direbbe, esercitare la virtù della temperanza. La temperanza non consiste in una totale privazione, tutt'altro. L'astemio è un alcolizzato in potenza. La volta che inizia, non riesce più a smettere. Non aveva mai esercitato i muscoli della volontà.
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