giovedì 4 giugno 2009

Antiproibizionismo unica soluzione


Narcotrafficando in Africa Occidentale
di Matteo Ballero

Ho studiato per un anno il narcotraffico in Africa Occidentale. In questo periodo ho potuto osservare come questa regione del mondo sia recentemente entrata nella mappa del finanziamento del crimine mondiale. E come questo abbia creato lì una struttura unica al mondo: il narcostato.

L’Africa è un anello fondamentale nella rete di finanziamento delle organizzazioni criminali internazionali. Le sue numerose risorse vengono sfruttate da organizzazioni criminali e fondamentaliste per raggiungere i propri obiettivi (ricordate lo scambio diamanti-armi organizzato dal RUF in Sierra Leone). Regina delle risorse commerciate illegalmente è la droga: il narcotraffico è la tecnica più efficace, più redditizia e più utilizzata a livello globale per finanziare atti di terrorismo, ribellioni e guerre.

Se la caduta del Muro di Berlino ha comportato l’arrivo della criminalità dell’est europeo in Africa, l’undici settembre ha coinvolto il continente in un cambiamento radicale delle rotte commerciali di finanziamento illegale. L’Africa Occidentale ha subìto questa rivoluzione.

La criminalità mondiale ha investito in Africa Occidentale dopo l’undici settembre, quando l’amministrazione Bush approvò il Patriot Act. Le misure di carattere finanziario, contenute nella legge federale, imposero serie limitazioni all’attività di riciclaggio. Le organizzazioni che commerciavano con gli Stati Uniti realizzarono immediatamente come l’emissione di misure antiterroristiche e l’irrigidimento dei controlli a livello bancario avrebbero comportato una riduzione della rendita economica. I narcotrafficanti decisero così di investire in Europa, terreno divenuto, con l’introduzione della moneta unica e la realizzazione del mercato comune, economicamente vantaggioso.

Inizialmente furono sfruttate le rotte commerciali illegali già costituite ed impiegate negli anni precedenti, attraverso Balcani e Canarie. Nel 2004 i narcotrafficanti decisero però di stabilire un porto sicuro di collegamento tra le organizzazioni sudamericane e quelle europee. Si decise di investire in Africa Occidentale. E la regione divenne l’hub della cocaina. Qui oggi arrivano gli aerei sudamericani stracarichi di droga e da qui ripartono le imbarcazioni e i velivoli diretti al mercato del consumo europeo. Il trasporto è rapido e sicuro.

In particolare oggi è la Guinea Bissau a soddisfare pienamente le necessità dei narcocommercianti. Ha un territorio geograficamente difficile da controllare, una classe politica in perenne stato di lotta, un esercito sovra numerato, influente e scarsamente pagato, una polizia e un sistema giudiziario inesistenti, come inesistenti sono gli accordi di estradizione, e un’economia tra le più povere e sottosviluppate al mondo. In Guinea Bissau l’assedio ha avuto immediato successo grazie all’aggressività dei narcotrafficanti, che possiedono mezzi economici sconfinati in grado di penetrare nella debole economia locale. La forza economica dei narcotrafficanti è stata evidente quando la polizia intercettò una carico di seicento chilogrammi di cocaina stipato nel bagagliaio di una macchina: la droga aveva un valore sul mercato pari a un terzo del PIL guineano.

Il passo successivo venne compiuto quando i narcotrafficanti decisero di trasferirsi fisicamente a Bissau. La Guinea Bissau è diventata in quel momento il primo autentico narcostato al mondo. In nessun’altro paese vi è un’infiltrazione e un’estensione del narcotraffico nel territorio nazionale come nella repubblica africana.

Il narcostato è una condizione statuale dovuta all’incapacità dell’amministrazione pubblica di contrastare lo stato guscio, che viene esteso dall’organizzazione criminale a tutto il territorio nazionale. La struttura socio-economica creata dall’organizzazione criminale, lo stato guscio, ha la funzione di proteggere il commercio di droghe. L’assoluta incapacità di contrasto e il coinvolgimento indiretto dell’amministrazione pubblica abbattono i costi di trasporto al minimo e rendono l’attività di narcotraffico attraverso la Guinea Bissau economicamente molto efficiente.

La situazione in Africa Occidentale è drammatica. L’instabilità istituzionale e la penetrazione della criminalità nell’economia locale stanno avendo delle conseguenze disastrose per lo sviluppo economico e sociale dell’area. La fragilità politica ha provocato l’arrivo del fondamentalismo islamico, che individua a Bissau come a Conakry un terreno fertile per l’ideologia estremista. La Somalia dimostra come il collasso dell’apparato governativo e l’indifferenza della comunità internazionale possano provocare conseguenze difficilmente risolvibili nel breve periodo.

(Fonte: lanapoleoni.ilcannocchiale.it)



Afghanistan, contro il demone dell'oppio non serve sparare a caso
di Fulvio Scaglione

Solo pochi giorni fa, i giornali americani annunciavano con soddisfazione una svolta nella strategia delle truppe Usa in Afghanistan: un attacco deciso alle piantagioni di papavero, che producono il 90% dell’oppio in circolazione nel mondo e rendono ai talebani (o chi per essi) più di 300 milioni di dollari l’anno. Nello sforzo Usa di raddoppiare le truppe dispiegate a Kabul e dintorni (dalle 36 mila attuali a 68 mila), proseguivano gli analisti, è “nascosto” il proposito di mandare 20 mila uomini in più nelle sole province di Helmand, Kandahar e Zabul, dove le piantagioni di papavero sono più fitte. Il fatturato del narcotraffico (foto sotto: un campo di papaveri da oppio) è oggi pari a circa il 60% del Prodotto interno lordo dell’Afghanistan, quindi è prevedibile che predoni e signori della guerra non si arrenderanno senza combattere. D’altra parte, ragionavano gli strateghi americani, i contadini pagano anche il “pizzo” per la protezione e quindi dovrebbero essere felici che qualcuno arrivi a liberarli.

Sarà quel che sarà. Ma intanto le truppe italiane ammazzano per sbaglio una bambina nell’auto del padre che non si ferma al posto di blocco. E gli americani, che fanno sempre le cose in grande, fanno fuori decine di donne e bambini (tra gli altri, un operatore della Croce Rossa con 13 parenti) nel solito bombardamento tirato come viene viene. Ho già scritto in passato su questo tema ma le cifre sono agghiaccianti: nel solo 2008, secondo i calcoli dell’Onu, esercito afgano, forze Nato e forze Usa hanno fatto fuori 828 civili. Dal 2001, secondo diverse fonti, le vittime civili delle “forze del bene” sarebbero tra 4.900 e 7.750, mentre quelle delle “forze del male” (talebani & c.) sarebbero tra 2.400 e 3.950.
A proposito di 2001. Io c’ero. Entrai in Afghanistan dal Tagikistan, riuscii a seguire la battaglia di Taloqan (a Nord; foto sotto, la mappa del Paese) e poi quasi più nulla. E sapete perché? L’avanzata verso Kabul dell’Alleanza del Nord, unita alle truppe americane e inglesi, era così rapida da lasciarsi appresso persino i giornalisti, che in fondo non avevano altro da fare che guardare e scrivere. In quei giorni non c’era afgano che non sfoggiasse una divisa nuova di zecca e una ricetrasmittente Motorola ancora avvolta nel cellophan. Una settimana prima la presa dei talebani sul Paese era ferrea, una settimana dopo non gli dava più retta nessuno. Come mai?

La risposta era evidente: i signori della guerra, adeguatamente “unti”, avevano girato le spalle all’islam e si erano messi con gli occidentali, lasciando i talebani in brache di tela. Per carità, niente di male. Anzi, bene. La stessa cosa è stata fatta, con ottimi risultati, anche in Iraq. Ma uno dei prezzi pagati a quel voltafaccia è stata, in Afghanistan, la libera coltivazione del papavero da oppio. Non a caso, negli ultimi anni del regime talebano si era quasi arrivati ad azzerare la produzione, che invece ha segnato record dopo record dalla liberazione del 2001 a oggi. Non a caso, si sono fatti mille discorsi sull’Afghanistan ma nessuno che riguardasse alture sostitutive da proporre ai contadini afghani, per di più tormentati da anni e anni di siccità.
E’ quello il demone originario che tormenta l’Afghanistan post-talibano. Quella l’equazione che non siamo mai riusciti a risolvere: perché il narcotraffico alimenta l’anarchia e mina alla radice qualunque idea di Stato unitario, mentre la lotta al narcotraffico rende labile l’alleanza con i capi tribù e i capi clan che governano, assai più del presidente Karzaj, le sorti del Paese. Barack Obama sembra deciso a fare sul serio, ed è sicuramente un bene. Anche lui, però, deve capire che sparare a casaccio è la cosa più facile e più dannosa che si possa fare.

(Fonte: fulvioscaglione.com)

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