Il mondo va verso una crisi epocale. Ma non necessariamente crisi vuol dire morte. La crisi può anche essere un'occasione per cambiare, per darsi da fare e diventare migliori. Certo, siamo ancora all'inizio di un processo che dovrà seguire un certo decorso. Se la crisi è la manifestazione di un disagio profondo, bene, allora sappiamo che il sintomo è già l'inizio della cura. Ci sarà da soffrire, ma stringere i denti e resistere ci renderà più forti. Capaci di demolire il passato per ricomporne scenari possibili, e adoperarsi nel presente per renderli reali. Si potrebbero dire molte cose su questo futuro ancora a venire. Ci saranno energie rinnovabili e pulite, si mangeranno insetti:(, la gente tornerà ad avere fiducia nel prossimo, ci sarà allegria e spensieratezza perché ci sarà lavoro per tutti. E il lavoro credo che sia un nodo centrale. Se vogliamo uscire dalla crisi la soluzione non è lavorare di più, paradossalmente la soluzione è lavorare tutti molto di meno. Direi che i tempi si dovrebbero dimezzare mentre i salari al massimo ridursi di un terzo. Alcune grandi compagnie americane già lo fanno. Ibm offre un anno di aspettativa a un terzo dello stipendio ai suoi manager al momento non proprio indaffarati. Evitando mille complicazioni legali, e con la piena collaborazione del manager stesso che non ne può più di lavorare, e a cui un anno sabbatico in giro per il mondo o a casa con la famiglia gli viene da dio. È questo socialismo? Non lo so. A me sembra common sense. L'umanità è arrivata al paradosso per il quale se vuole continuare a crescere non deve accellerare il ritmo di lavoro: deve rallentarlo. E poi lo sappiamo, quando siamo sereni e non ci sentiamo stressati produciamo molto di più, siamo più creativi e ci vengono in mente idee geniali.
Ma è anche possibile che imbocchiamo la strada opposta. Che ci mettiamo a lavorare come assatanati, per sfuggire alla depressione che c'incalza. Invidiandoci l'uno con l'altro, mentre puntiamo il dito contro chi gode di migliori condizioni, lavora di meno e guadagna pure di più. Senza capire che non è l'altro a godere d'ingiustificati diritti ma noi quelli che ne sono stati privati. Invece, mossi dalla frustrazione, chiediamo a gran voce stesse condizioni per tutti, elevandoci a difensori dell'uguaglianza. Ma quale uguaglianza? Ricordo un aneddoto su Olof Palme, il leader socialista svedese, quando, già presidente del paese, ricevette il suo omologo portoghese, salito al potere in seguito alla Rivoluzione dei Garofani, non ricordo il nome. Comunque, questi gli disse che ora in Portogallo l'avrebbero fatta finita con i ricchi. Senza scomporsi, Olof Palme gli rispose che invece in Svezia volevano farla finita con i poveri.
Allora le alternative non sono molte. O ci diamo una calmata, a partire dal profondo di noi stessi. O presto diventeremo tutti cosí:
venerdì 24 aprile 2009
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